Francis Ford Coppola
I due film di mezzo del nuovo ciclo di Coppola - tra Un sogno lungo un giorno e Cotton
Club - vanno esaminati insieme, come un
unico megatesto.
I ragazzi della 56° strada e Rusty il
selvaggio sono basati su due testi molto simili, entrambi di Susan E.
Hinton, due bestsellers sui giovani ribelli, uno scritto alla fine degli anni
Sessanta, l’altro alla metà dei Settanta. Entrambi i romanzi sono ambientati a
Tulsa, in pieno Midwest, e parlano dello stesso miniuniverso giovanile, quello
delle bande, delle moto, dei nuovi centauri e dei loro piccoli eroismi.
I ragazzi della 56° strada è la storia di due fratelli,
Ponyboy e Dally e della loro impossibilità di vivere. Fanno parte dei Greasers,
la banda dei poveri (contrapposta a quella dei Soc, o Socials, che raggruppano
i ragazzi bene della città), che comprende tra gli altri il giovane coetaneo
dei Ponyboy, Johnny. Tra storie di risse e coltelli, di colpe e di espiazioni,
Johnny e Dally vivranno sulla loro pelle l’impossibilità di essere normali.
La storia di Rusty
il selvaggio è molto simile. Anche qui c’è un rapporto tra fratelli,
Rusty James, il minore, cresciuto col mito di Motorcycle Boy, il maggiore, in
un contesto in cui le bande giovanili esistono, ma ormai soprattutto nella nostalgia di chi ha vissuto
quell’epoca d’oro: ora le bande hanno lasciato il posto ad una violenza più
irrazionale e quotidiana. Anche qui, tra amori e risse, duelli per la conquista
della femmina e della supremazia territoriale, questi giovani sono diventati
come i rumble fishes del titolo, le
uniche figure colorate in un mondo in bianco e nero: pesci combattenti che non
sarebbero violenti se non fossero in cattività, se avessero più spazio.
Dunque le due
trame sono simili e rispondono alla logica del marketing e della serialità. Ma
il risultato finale delle due diverse messe in scena è stupefacente: I ragazzi della 56° strada
e Rusty il selvaggio sono due film
assolutamente antitetici.
Tanto opposti ed estremi, tanto violentemente divergenti, da essere
complementari.
I
ragazzi della 56° strada è il colore, Rusty
il selvaggio è il bianco e nero. Il primo è “realismo”, il secondo è “antirealismo”.
Il primo è la prosa, il secondo è la poesia. Uno è il negativo, l’altro il
positivo, l’uno è il reversal dell’altro.
I
ragazzi della 56° strada è
un film convenzionale, fatto di stereotipi televisivi e sgargianti colori anni
Cinquanta, in schermo panoramico, costruito come un prodotto medio di
artigianato industriale. Rusty il
selvaggio fa pensare allo stesso film ma ridigerito e corroso, risognato
dall’autore e riscritto in stato di allucinazione, girato nel classico formato
quadrato e in severo bianco e nero, che però lascia spazio, in alcuni momenti,
alla felicissima intuizione poetica dei pesci colorati, sovrapposti per
contrasto al bianco e nero dei volti dei protagonisti.
Indicativo è anche il rapporto che i due film
stabiliscono con il mercato. I ragazzi
della 56° strada viene distribuito in tutta l’America, esce a pioggia in
tutte le sale della provincia, è costruito appositamente come una merce da
vendere per rinsanguare le finanze di Coppola dopo il disastro economico di Un sogno lungo un giorno. Rusty il selvaggio apre ufficialmente al
New York Film Festival dell’83, esce solo nelle capozone più importanti e nelle
città più cinefile – New York, Los Angeles, San Francisco – è pensato come
un’opera autonoma dal box office, il cui fallimento commerciale è preventivato.
Torna la forbice premeditata film commerciali/film personali che Coppola ha
sempre teorizzato.
E’ come se l’irrequieto Francis, metà americano, metà europeo, metà
manager, metà autore, dicesse: eccovi due prodotti, uno è come lo vuole il
mercato, l’altro è come lo voglio io e come potrei fare cinema se fossi libero
dal mercato. Questo non vuol dire che I ragazzi della 56°
strada è
“brutto” e Rusty il selvaggio è
“bello”. Semplicemente, fanno parte di uno stesso, unico megatesto, e il primo,
che a una prima lettura appare decisamente modesto, viene in qualche modo
rivalutato dal secondo.
Vito Zagarrio, Francis
Ford Coppola, Il Castoro